Vulvodinia e neuropatia del pudendo sono due patologie ad oggi ancora sottovalutate e scarsamente conosciute in ambito sanitario. Sebbene, stante la letteratura
scientifica internazionale (Bautrant et al., 2019; Bergeron et al., 2020; Spinosa et al.,
2006), la prevalenza della vulvodinia sia stimata essere del 10-16% (tra la popolazione
assegnata femmina alla nascita) e dell’1% quella della neuropatia del pudendo, tali
malattie non sono ancora entrate regolarmente nei curricula di studio delle Facoltà
di Medicina e delle relative Scuole di Specializzazione, con il risultato di un personale
sanitario largamente impreparato a diagnosticare e trattare le due sindromi.
A titolo esemplificativo, il 45-65% dei ginecologi non sa diagnosticare la vulvodinia,
quasi il 40% è in grado di diagnosticarla, ma solo il 20% è capace di impostare una
prima terapia (Bautrant et al., 2019). Non esistono ulteriori dati in letteratura, ma l’esperienza delle associazioni di malati e malate che operano in Italia conferma che, cambiando tipo di specializzazione medica (medicina generale, urologia, neurologia, fisiatria, dermatologia, gastroenterologia, terapia del dolore, psicologia, ecc.) non
migliora la preparazione dei professionisti sanitari su queste patologie.
L’inevitabile risultato della mancanza di preparazione medica è il ritardo diagnostico
medio di 4 anni e mezzo[1] e una percentuale di appena il 10-20% di pazienti che ottiene la giusta diagnosi alla prima visita specialistica (Bautrant et al., 2019) tra coloro
che cercano aiuto, a fronte di un 40% che rinuncia a cercare una diagnosi o che non
inizia nemmeno l’iter diagnostico per la vergogna provocata da due malattie che
colpiscono principalmente gli organi genitali (Harlow et al., 2003). Inoltre, una recente
ricerca realizzata nel 2021 in Italia dal progetto Gruppo Ascolto Vulvodinia in collaborazione con CasaMedica Bergamo[2], che ha raccolto 1100 questionari di pazienti
che soffrono di vulvodinia o neuropatia del pudendo, ha evidenziato che il 77% delle
pazienti arriva all’autodiagnosi tramite internet, il 5% tramite amicizie e conoscenze
(autodiagnosi poi confermate dai pochi specialisti di settore) e solo il 18% ottiene
una diagnosi tramite il personale sanitario.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha riconosciuto la vulvodinia nell’ICD-11 in vigore dal 1° gennaio 2022.
La stesura di questo dossier scientifico ha l’obiettivo primario di far emergere la necessità del riconoscimento di queste due patologie nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA)
come malattie croniche e invalidanti. Questo, di per sé, comporterebbe una diversa
organizzazione del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) al fine di garantire non solo
un’adeguata presa in carico di questi pazienti, cosa che ad oggi non avviene, ma
anche una diversa formazione per il futuro personale sanitario che contempli anche
queste due malattie, considerate “parenti strette”.
Nella vulvodinia, infatti, è sempre presente una componente di dolore neuropatico/
nociplastico. Le terminazioni nervose principalmente coinvolte sono quelle dei nervi
pudendi, sebbene possano essere coinvolti anche altri nervi pelvici-perineali. All’ultimo congresso del 2021 della società scientifica internazionale Convergences in pelvi
perineal pain[3] è stata proposta un’eziopatogenesi comune per la vulvodinia spontanea e la neuropatia del pudendo, mentre la vestibolodinia provocata, forma prevalente della vulvodinia, ha caratteristiche peculiari che non consentono di identificarla
con la neuropatia del pudendo, ma nemmeno di escluderne la parentela. Molto
ancora resta da scrivere in questo ambito scientifico a lungo ignorato dalla medicina,
ma altrettanto oggi si conosce grazie agli studi condotti soprattutto negli ultimi
vent’anni.
Il presente dossier, attraverso una revisione sistematica di tutta la letteratura scientifica
internazionale esistente ad oggi, analizza nel dettaglio le due patologie, sia dal punto
di vista fisiopatologico, che da quello diagnostico e terapeutico.